Enunciando il seguente principio di diritto: "".Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, indicate nell'art. 1117 c.c., per la loro funzione necessaria all'uso collettivo, sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, salvo diversa convenzione". Invece, "se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese vanno ripartite in proporzione dell'uso che ciascun condomino può farne". Infine, "le spese relative alla cosa che in alcun modo, per ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, possano servire ad uno o più condomini non vanno poste a carico di quest'ultimi la Cassazione ha affermato che le spese necessarie ad adeguare alla normativa antincendio i box auto di proprietà esclusiva posti all’interno di un condominio, e i relativi spazi di manovra, devono essere poste a carico dei soli proprietari delle autorimesse e non dei condomini che non traggono beneficio. Trova quindi applicazione il criterio di riparto di cui all’art. 1123 II e III comma c.c. e non quello di cui all’art. 1126 c.c. perché applicabile alle spese riguardanti i lastrici di proprietà esclusiva (Cass. civ. sent. n. 24166 dell’8.09.2021)
Sulla scorta del principio di leale collaborazione e di buona fede che governa i rapporti tra privati e pubblica amministrazione l’amministrazione ha il potere di rimettere in termini il concorrente di una procedura di gara il quale, per causa di forza maggiore, sia incorso nella violazione di un termine procedurale previsto a pena di esclusione. Il suddetto principio è stato applicato con riferimento al termine per comprovare il possesso dei requisiti dichiarati, ritenuto perentorio, salvo il caso di oggettivo impedimento alla produzione della documentazione non in disponibilità (cfr. Cons. Stato, VI, 5 aprile 2017, n. 1589; IV, 16 febbraio 2012, n. 810; V, 13 dicembre 2010, n. 8739). Con la sentenza n. 5882 del 16.08.2021 il Consiglio di Stato, richiamando precedenti pronunce, ha chiarito che la causa di forza maggiore consiste in un evento non imputabile al soggetto e che comporta un impedimento oggettivo, non evitabile neppure con la maggiore diligenza possibile. Un esempio è ravvisabile nell’attacco di un virus informatico che comprometta l’accesso alla posta elettronica certificata, richiedendo per la sua soluzione l’intervento di un operatore specializzato e del tempo necessario a ripristinare il sistema (cfr. Cons. St., V, 18 ottobre 2018, n. 5958). I richiamati principi devono trovare applicazione anche nell’ambito dell’istituto del soccorso istruttorio, giacchè i termini di cui all’art. 83 comma 9 del codice dei contratti pubblici ha natura perentoria e la rimessione può essere concessa solamente in casi eccezionali.
Con la sentenza n.
2580 del 26.03.2021, la III sez del Consiglio di Stato ha chiarito la portata dell’art.
89 comma 3 del D.lgs. 50/2016, in forza del quale “la stazione appaltante
verifica, conformemente agli articoli 85, 86 e 88, se i soggetti della cui
capacità l’operatore economico intende avvalersi, soddisfano i pertinenti
criteri di selezione o se sussistono motivi di esclusione ai sensi
dell’articolo 80. Essa impone all’operatore economico di sostituire i soggetti
che non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono
motivi obbligatori di esclusione”. I Giudici hanno precisato che la
verifica dei requisiti debba essere eseguita dalla Stazione appaltante in via
diretta e d’ufficio e che pertanto, quando, nel corso di tali verifiche, venga
accertata la sussistenza di cause di esclusione in capo alla ausiliaria, la
Stessa stazione appaltante debba concedere al concorrente un termine per la
sostituzione.
Nel caso di specie, la Stazione Appaltante aveva ravvisato la sussistenza di
alcune condizioni ostative in capo alla ausiliaria nella prosecuzione del
suddetto ruolo ed aveva quindi assegnato un termine di 15 giorni alla concorrente,
che ha provveduto alla sostituzione dell’ausiliaria successivamente
all’aggiudicazione ma comunque nella fase precedente l’esecuzione del
contratto, quindi legittimamente secondo il principio di favor partecipationis
(Cons. Stato, sez. V, 26.04 2018, n. 2527; ). Già in altre pronunce il Consiglio
di Stato aveva avuto modo di puntualizzare che l’avvalimento costituisce un
“istituto del tutto innovativo” (Cons. Stato, III, 25.11.2015, n. 5359), che consente
la sostituzione dell’ausiliaria anche nell’ambito di rapporto tra imprese
scaturito dalla stipulazione di un contratto di avvalimento ed anche nella fase
precedente l’esecuzione del contratto (Cons. Stato, sez. V, 3.01.2019, n. 69;
V, 26.04 2018, n. 2527; V, 21.02.2018, n. 1101)
Con l’ordinanza 8163/2021 la Corte di Cassazione delinea, ai fini risarcitori, effetti e limiti della lesione del diritto al consenso informato, precisando nel provvedimento che, se la giurisprudenza di legittimità è "del tutto consolidata nel senso di configurare il diritto all'autodeterminazione quale diritto autonomo e distinto rispetto al diritto alla salute e nell'individuarne il fondamento negli artt. 2, 13 e 32 delle Costituzione "(n. 28985/2019)," è altresì consolidata nel richiedere un giudizio controfattuale su quale sarebbe stata la scelta del paziente ove fosse stato correttamente informato". Spiegano i Giudici che, se il paziente
"avesse prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento, la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute determinata dalla successiva errata esecuzione della prestazione professionale, mentre, se egli avesse negato il consenso, il danno biologico scaturente dalla inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile ‘ab origine' alla violazione dell'obbligo informativo e concorrerebbe unitamente all'errore relativo alla prestazione sanitaria alla sequenza causale produttiva della lesione della salute quale danno conseguenza". Sulla base di questi principi, la Terza Sezione civile confermando le decisioni del Tribunale e della Corte d’Appello, ha respinto il ricorso di una donna che chiedeva venisse accertata la responsabilità di due chirurghi per due interventi successivi, nel 2007 e nel 2011, deducendo la violazione del consenso informato rispetto alle possibili complicanze poi effettivamente verificatesi. La paziente non aveva fornito la prova che, qualora fosse stata idoneamente informata, avrebbe comunque deciso di non sottoporsi all'intervento. "Ove tale intervento non sia stato preceduto da un'adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento " (n. 26827/2017).
Non è configurabile il delitto di cui all'articolo 483 del Cp a carico di abbia dichiarato falsamente di trovarsi in una delle condizioni giustificanti gli spostamenti all'interno del proprio Comune ai sensi del Dpcm dell'8 marzo 2020, essendo detto Dpcm illegittimo per violazione dell'articolo 13 della Costituzione e come tale va disapplicato da parte del giudice penale ai sensi dell'articolo 5 della legge sul contenzioso amministrativo (n. 2248/1968, Allegato E). Così il Gip del Tribunale di Reggio Emilia che, con sentenza n. 54/2021, richiesto di emettere un decreto penale di condanna a carico di due imputate in ordine al delitto di cui all'articolo 483 del Cp – per aver falsamente autocertificato ragioni di salute, risultate poi inesistenti – le ha prosciolte ex articolo 129 del Cpp perché il fatto non sussiste. Per il giudice di prime cure, il provvedimento presidenziale emanato lo scorso anno nella prima ondata pandemica – ma le motivazioni sembrano generalizzabili a tutti i Dpcm successivi (ivi compreso il vigente Dpcm del 2 marzo scorso) – deve ritenersi contrastante con la Costituzione perché un Dpcm non può disporre alcuna limitazione della libertà personale, trattandosi di fonte meramente regolamentare di rango secondario e non già di un atto normativo avente forza di legge. Di qui la ravvisata violazione del principio di riserva di legge e di giurisdizione di cui all'articolo 13 della Costituzione in forza del quale limitazioni alla libertà personale possono avvenire solo in base ad un atto motivato dell'Autorità giudiziaria (e non già in base ad un atto amministrativo) e «nei casi e nei modi previsti dalla legge» e, dunque, con provvedimento di natura singolare, essendo di contro precluse limitazioni generalizzate e assolute della libertà personale come è l'obbligo di permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini.
In
caso di spese straordinarie, non è sempre necessario il consenso
preventivo dell'ex. Lo ha stabilito la Cassazione con l'ordinanza n.
5059 del 24 febbraio 2021. Il provvedimento
in tema di rimborso delle spese straordinarie non preventivamente
concordate, enuncia un principio interessante: l'autosufficienza della
volontà unilaterale espressa dall'esercente la responsabilità
genitoriale. Sia il tribunale che la corte d'appello avevano rigettato l'opposizione del
marito , il quale proponeva ricorso per cassazione, ritenendo che la
moglie avrebbe dovuto dimostrare le condizioni che rendevano dette
spese rimborsabili per ragioni di necessità o urgenza in difetto di
preventiva concertazione tra i genitori.
La Cassazione ha rigettato la
doglianza del marito: il credito azionato si fonda infatti, su un
provvedimento giurisdizionale che, pur potendo determinare diversamente,
oltre che la misura, anche i modi con i quali il coniuge non
affidatario contribuisce al mantenimento dei figli, nella specie non
subordinava l'obbligo di contribuzione da parte del genitore non
collocatario a requisiti particolari. Quindi, il provvedimento
costituiva un titolo astrattamente idoneo anche nel giudizio di
opposizione a decreto ingiuntivo. D'altro canto, ribadiscono gli
Ermellini, l'interpretazione della corte territoriale è comunque
conforme al principio secondo cui non è configurabile a carico del
coniuge affidatario un obbligo di informazione e di concertazione
preventiva con l'altro, in ordine alla determinazione delle spese
straordinarie, sussistendo, comunque, a carico del coniuge non
affidatario, un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente
addotto validi motivi di dissenso.
Con la recente sentenza n. 2653 del 4 febbraio 2021, i Giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno rigettato il ricorso proposto dalla moglie avverso la decisione della Corte di Appello che aveva revocato l’assegno di divorzio in suo favore, ritenendola astrattamente idonea all’attività lavorativa. La donna lamentava che la Corte non aveva tenuto conto del tenore di vita goduto dalla famiglia in costanza di matrimonio, né della sua età e delle difficoltà di reinserimento nel mondo del lavoro, dal quale si era allontanata da circa vent’ anni. Gli Ermellini hanno invece rigettato il ricorso, confermando la sentenza di secondo grado che aveva correttamente considerato che la famiglia non godeva di un tenore di vita elevato e che la signora, abile al lavoro, aveva intrapreso una convivenza more uxorio. Una sentenza incensurabile a loro dire perché ha tenuto conto anche dell’età non avanzata della ricorrente e dell’assenza di patologie che potessero impedire lo svolgimento di una attività lavorativa. Mentre era emerso un atteggiamento rinunciatario della signora a cercare una nuova occupazione, rendendola così immeritevole dell’assegno.
La Suprema Corte torna a pronunciarsi in merito alla responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. per omessa manutenzione stradale. Una donna conveniva in giudizio il Comune di Napoli chiedendone la condanna al risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c. o, in subordine, ex art. 2051 c.c. asserendo di essere caduta in una buca coperta da una pozzanghera d’acqua. Mentre il Giudice di prime cure, ritenuta fondata nonché provata la domanda, aveva Condannato il Comune al risarcimento del danno ex art. 2043 c. c., la Corte d’ appello aveva ribaltato la decisione, ritenendo imprudente il comportamento della vittima (che aveva concorso alla produzione dell’evento dannoso) ed escludendo quindi il nesso eziologico tra la condotta omissiva dell'ente proprietario della strada e l' evento dannoso stesso. Il Comune doveva ritenersi esonerato da responsabilità
per caso fortuito ex art. 2051 c.c. La Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso proposto, con l’ordinanza n. 456/21, statuisce invece che la condotta della vittima di danno causato da una cosa in custodia costituisce caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. solo ove sia colposa e imprevedibile. E per giurisprudenza costante, “se il fatto colposo del danneggiato può concorrere nella produzione dell'evento, il fatto che una strada risulti "molto sconnessa” con buche e rattoppi, indice di cattiva manutenzione, non costituisce un'esimente per l'ente pubblico in quanto il comportamento disattento e incauto del pedone non è ascrivibile al novero dell'imprevedibile”. Pertanto, nella corretta interpretazione dell’art. 2051 c.c., l’ente proprietario della strada risponde dei danni cagionati, salvo che la condotta della vittima assuma efficacia causale esclusiva, ovvero sia qualificabile come estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto.